Antonio Lo Faro e Francesco Santovetti, due collezionisti di giocattoli, due uomini di cultura, due amici.
Un signore elegantissimo, in doppio petto blu, papillon e trench lungo fin sotto le ginocchia attraversa la piazza dell'Anfiteatro di Lucca a capo scoperto, impettito, allampanato, guidando un mosquito come fosse una Rolls-Royce decappottabile. Non si sa da dove viene né dove va, passa e lascia una scia di stupore e rispetto.
Un altro signore, in maniche di camicia, un pò trasandato guida una cinquecento, come si deve guidare una cinquecento, a colpi di cambio e di acceleratore, infilando una dopo l'altra le più strette e sconnesse stradine del centro di Roma, per arrivare infallibile davanti al palazzo stabilito. Immagini da fissare prima che il tempo se le porti via.

Antonio Lo Faro non si allontanava mai, per principio, da Lucca: erano i giocattoli che dovevano venire da chi li amava davvero, seguendo i loro imperscrutabili percorsi. Pochi, molto belli e a prezzi ragionevoli. Un vero collezionista ha da essere saggio, paziente, fermo e incrollabile come la torre dei Guinigi, tutta pietra con in cima una corona di alberi a cogliere il sole e le brezze. Inventariando la sua collezione, anni dopo, ho capito che aveva ragione: vi trovai non molti ma splendidi pezzi, ognuno avvolto da una sua magia, integro o segnato dal tempo che fosse. Antonio i giocattoli non li riparava, li lasciava così come li aveva trovati; aveva un altro modo per entrare dentro di loro: li dipingeva, alla maniera di Jacques Milet, riuscendo a penetrarne l'anima invece che i meccanismi. E raccoglieva nella sua galleria d'arte quadri di pittori che come lui, trattenevano in fondo al cuore e in punta di pennello il mondo dei giochi e dei bambini.

Francesco Santovetti invece, in aggiunta ad un buon numero di vere auto d'epoca, raccoglieva, da sempre, tutto ciò che raffigurava, o alludeva, o parlava di automobile. La sua collezione di automobiline di latta era sterminata, perfetta, praticamente completa. Le cercava, le snidava e andava ad acquistarle girando per tutta l'Europa. In una stanza della casa, mai rischiarata dalla luce del giorno e tanto meno riscaldata, ne costudiva, sotto teca, una enorme di cioccolato, lavoro ardito e paziente di un pasticcere di Vienna. Pur occupato notte e giorno dalla sua variopinta ossessione, gli capitava di conoscere le vicende di vecchi bar o locali storici insidiati dalla voracità e dai soldi di catene di negozi di abbigliamento, allora sapeva riciclare e ben usare il suo tempo e la sua intelligenza nella lotta per la loro conservazione. Durante i tortuosi giri per Roma, non lasciava mai di sostare un momento davanti a un certo giardino pubblico, con la compunzione e l'alto rispetto che si devono a cimiteri come il Verano o il Père Lachaise: anni prima in quel giardino aveva assistito impotente alla distruzione di un giocattolo antico da parte di un bambino, il legittimo proprietario. Si trattava di un'auto rarissima lunga quaranta centimetri dei primi anni del novecento che i genitori avevano affidato al figlio chissà per quale irragionevole incoscienza. Francesco la piangeva ancora come un parente stretto immaturamente scomparso.

In seguito il gioco del destino volle che un esemplare di quella vetturetta capitasse nelle mie mani, comprata a buon prezzo da un vecchio professore romano, la feci vedere ad Antonio e lui, dopo gli elogi, mi chiese se poteva spedirne una foto a Francesco con cui intratteneva una fitta corrispondenza. Nel giro di una settimana Francesco era in pellegrinaggio a Pisa: prima si commosse, poi la esaminò con pignola attenzione girandola e rigirandola tra le mani, tolse qualche granello di polvere dagli angoli più inaccessibili e me la riconsegnò dandomi dei consigli per la conservazione della vernice, ma né allora né dopo mi chiese di acquistarla. Rispetto ad altri collezionisti che negli anni l'hanno cercata offrendomi anche cifre importanti, Francesco avrebbe avuto argomenti e oggetti da scambiare persuasivi, forse vincenti, ma per lui, oggi mi è chiaro, quell'oggetto occupava ormai e per sempre il posto della perdita e del lutto.